ANNO 14 n° 110
L'ingresso del tribunale di Viterbo
Stessa causa ma sentenze opposte
Due famiglie chiedono riscatto terreno e si rivolgono a stesso avvocato

VITERBO – Dividono un terreno, chiedono di riscattarlo e si rivolgono allo stesso avvocato, ma il tribunale, nonostante prove e testi speculari, si spacca: due sentenze opposte. Protagoniste della vicenda che fa riflettere sul principio costituzionale per cui ''la legge è uguale per tutti'' sono due famiglie di cugini agricoltori del viterbese che per oltre vent’anni hanno coltivato le rispettive porzioni confinanti di uno stesso terreno appartenente a lontani proprietari.

Così, dopo aver detenuto, curato e bonificato quelle porzioni di terra per decenni, nel 2011 entrambi i nuclei familiari hanno deciso di rivolgersi al tribunale civile di Viterbo per vedersi riconosciuto il diritto all’usucapione delle rispettive metà del fondo. E hanno scelto lo stesso avvocato, portato davanti ai rispettivi giudici gli stessi testimoni, esibito le stesse prove a fronte di identiche modalità di possesso e utilizzo dei due fondi. Ma il risultato è stato sorprendente: due sentenze completamente divergenti.

La prima è arrivata ad aprile scorso e ha dato torto ad una delle due famiglie di contadini, negando loro il diritto a rilevare la ''proprietà superficiale'' della parte di terreno coltivata per decenni dal momento che il fondo in questione, oltre ad avere un suo lontano proprietario, risulta gravato da un ''livello enfiteutico'' in favore dell'università agraria di Blera. Va specificato che l'enfiteusi è istituto che risale addirittura all’epoca medievale, e consiste in un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui, urbano o rustico secondo il quale, il titolare (enfiteuta) ha la facoltà di godimento pieno sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo stesso e pagare inoltre al proprietario un canone annuo in denaro o in derrate.

La famiglia chiedeva di diventare proprietaria del diritto di godimento pieno del fondo, pur continuando a pagare un canone all’università. Il giudice ha respinto, perché ''le attività compiute dagli attori della causa, tra cui soprattutto va notato il pagamento del canone alla università concedente fino alla data odierna, sono chiaramente incompatibili con l’esercizio di un’attività possessoria simile all’esercizio della proprietà''.

Lo scorso 2 settembre, invece, è toccato all’altra famiglia di contadini. Ed è successo che un altro giudice dello stesso tribunale civile di Viterbo ha invece accolto la medesima domanda per la proprietà superficiale dell'altra metà del terreno. Per questo magistrato, al contrario dell’altro, ''l’istruttoria svolta evidenzia che l’attrice da oltre vent'anni ha posseduto in via esclusiva il terreno provvedendo in proprio alla bonifica di esso, al pagamento delle spese e alle attività di miglioramento''. E Tra i motivi che giustificano il riconoscimento della proprietà c'è anche la corresponsione all’ università agraria di Blera dei canoni enfiteutici.

La stessa circostanza, cioè il versamento della tassa di servaggio all’università protratto nel tempo, è stata quindi usata in un caso come prova per negare la proprietà del terreno a una famiglia e in un altro per suffragare la decisione di concederla ad un’altra. Per l’avvocato di entrambe le famiglie è stato un caso ''frutto di una legislazione antiquata, spesso di oltre o quasi cento anni, della mancata specializzazione dei magistrati e di un carico di ruolo spesso insostenibile. I cittadini alla fine ne risentono e patiscono gli sbagli degli operatori della giustizia''.




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