ANNO 14 n° 88
Licenziamenti disciplinari: è sfida aperta sul reintegro
01/10/2014 - 10:02

Un nuovo emendamento del governo per superare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Entro il fine settimana l’esecutivo presenterà la modifica al disegno di legge delega sulla riforma del lavoro, Jobs act, raccogliendo l’ordine del giorno votato dalla direzione del Pd. Un testo dove la minoranza Dem ha ottenuto alcune concessioni dal premier, Matteo Renzi. Giudicate insufficienti dall’opposizione interna al partito, che per questo non ha ritirato i suoi sette emendamenti al Jobs act. Ferme restando le garanzie per i licenziamenti discriminatori, tutta la partita è giocata sulla delega da assegnare al governo, stabilendo con precisione quali siano le fattispecie per cui, in caso di licenziamento disciplinare, sia previsto il diritto al reintegro. Nel resto delle circostanze ai lavoratori licenziati saranno applicate le tutele crescenti, ossia un’indennità economica proporzionale all’anzianità di servizio. Le novità saranno valide solo per i nuovi contratti.

 

Resta che l’emendamento dell’esecutivo ancora non c’è. L’obiettivo del premier è un compromesso. Raggiungerlo è complicato. Più si accontenta la sinistra Pd più si scontenta Ncd. Il presidente del Consiglio, del resto, vuole tirare dritto e incassare l’approvazione del Jobs act in Senato entro l’8 ottobre, data in cui sarà impegnato nel summit Ue sul lavoro. «È normale che adesso noi la riforma del lavoro la facciamo comunque, anzi, a maggior ragione dopo che c’è stato un bellissimo dibattito nella direzione del Pd», ha spiegato ieri sera. In caso contrario Renzi non fa mistero di voler ricorrere alla fiducia. Ipotesi da non escludere se Ncd dovesse irrigidirsi. Il relatore al disegno di legge delega, Maurizio Sacconi, non vuole vedere snaturato il testo approvato finora. «Non so se saranno presentati emendamenti dal governo, ma in ogni caso non potranno essere la mera traduzione dell’ordine del giorno del Pd, in quanto tutte le modifiche devono essere concordate con il relatore, che sono io e che come è noto ho le mie opinioni». In particolare, Ncd sarebbe pronto a chiedere di estendere le nuove regole anche ai contratti in essere.

Ma quanto peserebbe l’emendamento del governo sull’intera partita dell’articolo 18? Sui licenziamenti disciplinari non ci sono numeri precisi perché i dati non vengono raccolti a livello centrale. Bisogna ripiegare sulle valutazioni degli addetti ai lavori: «Le evidenze - osserva l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero - ci dicono che i licenziamenti disciplinari sono più numerosi di quelli economici», che nei primi sei mesi di quest’anno sono stati 8.537. «Le stesse evidenze - aggiunge Fornero - dicono pure che, in caso di ricorso alla magistratura, i licenziamenti disciplinari danno luogo ad una prevalenza di reintegri mentre quelli economici a una prevalenza di indennizzi, peraltro con valori medi intorno alle 8/10 mensilità». Lasciare il reintegro per i licenziamenti disciplinari, quindi, limiterebbe di parecchio la portata della riforma targata Renzi.

Per questo il giuslavorista Michele Tiraboschi dice che le «soluzioni a metà strada sono solo dannose e fonte di ulteriore contenzioso. O l’articolo 18 viene eliminato per tutti e in modo chiaro oppure meglio lasciare le cose così come stanno». Il punto è che chi viene licenziato per motivi economici potrebbe sempre tentare la strada del reintegro dimostrando davanti al giudice che si è trattato di un provvedimento se non discriminatorio almeno disciplinare. E anche l’emendamento al quale lavora il governo, che dovrebbe specificare meglio quando un licenziamento disciplinare è giustificato, potrebbe lasciare dei buchi. «Gia con la riforma Fornero - dice il professore di diritto del lavoro Raffaele De Luca Tamajo - le fattispecie erano state definite meglio. Ma non basta: la discrezionalità del magistrato è sempre più forte di qualsiasi tipizzazione».

corriere.it






Facebook Twitter Rss