ANNO 14 n° 111
''Un’economia civile per l’esercizio effettivo della partecipazione''
L'intervento di Signori, presidente Confartigianato
09/10/2014 - 10:20

Dal presidente di Confartigianato Viterbo, Stefano Signori, riceviamo e pubblichiamo

L’assenza, o almeno la debolezza, della società civile nel nostro paese si riflette sulla nostra quotidianità dando luogo ad alcuni fenomeni quali l’aumento delle disuguaglianze individuali, territoriali e di categoria, la crescita della disoccupazione e la stessa difficoltà a modificare il modello statalista di welfare: fenomeni che non dipendono solo dalla scarsità delle risorse ma che derivano invece dalla mancanza di coscienza sociale; carenza che determina l’incremento dei beni superflui e la scarsa offerta di beni relazionali, ma soprattutto l’incapacità di promuovere una seria organizzazione sociale, tale da provocare l’articolarsi di un mercato del lavoro aperto alle reali domande derivanti dalla società.

L’economia civile, che non può essere identificata con le organizzazioni no profit se non si vuole incorrere nel pericolo di una sua concezione residuale o di mera supplenza, ha bisogno per potersi impiantare in un serio incremento della qualità civile della società italiana: incremento che esige la crescita della fiducia sia interpersonale che istituzionale e l’abbandono di forme oligarchiche di accentramento del potere economico per aprirsi ad una pluralità di centri decisionali snelli, che garantiscano l’esercizio effettivo della partecipazione. Esige altresì il recupero di quei valori coma la reciprocità, l’altruismo e la solidarietà, che costituiscono la base essenziale per un corretto sviluppo del sistema economico e che sono i binari che dirigono l’azione quotidiana delle realtà associative come Confartigianato.

Risulta sempre più chiaro che il buon funzionamento dell’economia non dipende esclusivamente dall’affermarsi del principio dell’interesse individuale o dall’esclusivo perseguimento di una logica mercantile e neppure dalla crescita di una semplice conoscenza tecnica del tutto neutrale, ma dalla capacità di promozione sociale delle persone; dalla progettazione di istituzioni che alimentino il livello di cooperazione, dando vita a processi collettivi di decisione; dalla moltiplicazione delle sfere associative, che, come la nostra, facilitino l’articolarsi delle relazioni; dall’attenzione a fare seriamente i conti con le risorse umane e ambientali. In definitiva, da una visione allargata dello sviluppo, che sappia opportunamente mediare gli aspetti quantitativi con quelli qualitativi, puntando sul conseguimento di un’autentica civilizzazione sociale. A tal proposito quello che fino a ieri veniva definito eticamente inaccettabile risulta oggi anche economicamente improduttivo. L’assenza di una riflessione complessiva sulle possibilità e i limiti dello sviluppo – assenza dovuta soprattutto al prevalere di un’ideologia del progresso duraturo e infinito – ha infatti determinato in passato l’incapacità di fare i conti con fenomeni come quelli del disastro ecologico o di una permanente conflittualità sociale, o ancora delle sperequazioni tra i popoli e le culture. Questi fenomeni che sono destinati a mettere sotto processo, dal punto di visto morale, il sistema e a causarne ricadute negative sul piano economico.

Appare evidente la necessità di ripensare in chiave non antagonista, ma di reciproca integrazione, valori come quelli dell’efficienza e della solidarietà, mentre cresce, riprendendo il pensiero dell’economista Zamagni, la consapevolezza che oggi sia più lungimirante essere competitivi in modo cooperativo piuttosto che conflittuale. Si fa strada, in definitiva, la convinzione che il rapporto dell’economia con l’etica sia ineludibile non solo per ragioni di umanizzazione o di civilizzazione della vita, ma anche semplicemente per ragioni di buon funzionamento dell’economia stessa.

Per concorrere alla piena promozione umana mediante la produzione di beni, l’economia deve centrare alcuni obiettivi, tra i quali evitare gli sprechi di ciò che non è rinnovabile, eliminare le disuguaglianze mediante la produzione di beni essenziali e la loro equa distribuzione e, infine, sostenere e facilitare l’affermarsi di un mercato del lavoro aperto. I meccanismi economici del mercato possono infatti dispiegare positivamente la loro funzione solo se progettati e protetti da una società civile ispirata democraticamente. La libertà non è data da libero mercato; al contrario il mercato è libero in quella società dove è assicurata la libertà. Confartigianato crede profondamente in questa filosofia, tanto da percepirne i valori quali fondanti della sua stessa missione: in tal modo il lavoro viene inteso e sostenuto in quanto relazione indissolubile tra uomo e stato.

In questo contesto un particolare rilievo va dato al cosiddetto “terzo settore”, rappresentato da tutte quelle attività che si sviluppano al di fuori sia della sfera politico-istituzionale che di quella del mercato e la cui finalità principale non è il profitto, ma l’utilità sociale e il bene comune, la risposta cioè a istanze sociali mediante la produzione di “beni relazionali”. Tale settore, nella misura in cui è in grado di conservare la propria autonomia ed efficienza, non incorrendo in una radicale dipendenza dai fondi pubblici e in quanto coltiva un sempre più consistente radicamento sociale, diviene parte costitutiva di quella economia civile alla quale si è fatto riferimento, assolvendo non solo ad una essenziale funzione integrativa del pubblico, ma soprattutto concorrendo ad alimentare la tensione verso valori fondamentali quali la tolleranza, la solidarietà e la condivisione, che vanno estesi ben oltre tali confini per diventare paradigmi ai quali l’economia in generale deve riferirsi nello sviluppo della propria attività.

 

 






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